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METODOLOGIA DEL LABORATORIO TEATRALE INCLUSIVO

La METODOLOGIA DI LAVORO è basata sul teatro sperimentale, un forte interesse al lavoro corporeo, l'utilizzo della scrittura scenica e la rielaborazione dei testi teatrali attraverso l'utilizzo di elementi biografici degli attori. 

I partecipanti sono invitati a fare una esperienza globale, etica ed estetica, sperimentandosi su limiti e risorse del corpo in relazione agli altri, in un'ottica di co-educazione. Il teatro, in tale dimensione fortemente sociale  ed evolutiva, permette a ciascuno di ri-trovare la propria identità, grazie all’esperienza dell’altro e con l’altro.

La scelta dei temi di lavoro è strettamente legata alla composizione del gruppo e alla metodologia di lavoro. 
Il coinvolgimento dei singoli partecipanti prevede una ricerca individualizzata sulle potenzialità espressive, sulla individuazione dei talenti e delle attitudini sceniche. 

Tale ricerca si situa sempre all’interno di un percorso basato sulla sospensione del giudizio, sulla creazione di un clima di fiducia, che incoraggia e valorizza l’autonomia propositiva

 

Ciascuno è invitato a mettere in gioco soltanto ciò che è disposto a condividere di sé, qui e ora, all’interno del gruppo. Si lavora con ciò che si è, con ciò che si decide di mettere a disposizione del gruppo.

In tale premessa vi è una considerazione alta del rispetto dei tempi e della volontà altrui: è inclusa la possibilità di ritrarsi, di rifiutarsi, di rispettare il tempo per sé e di scegliere i modi di partecipare.
Al contempo vengono costruite e lasciate aperte strade di ritorno, di riavvicinamento per nuovi coinvolgimenti. Paradossalmente, proprio questo approccio che lascia intendere la libertà nel mettersi in gioco, accelera i tempi di attivazione dei singoli, dei processi inclusivi, anche se alla prima esperienza di laboratorio teatrale.

Lavorare con un gruppo integrato mette in gioco - e anche in discussione - la propria idea di corpo, efficienza, prestanza, performance.

L’altro ci ridimensiona e allo stesso tempo ci riavvicina a noi stessi.
Non si tratta di fingere di non vedere ciò che ci separa o ci disorienta, ma piuttosto di costruire attraverso le differenze una visione più umana e tollerante dei nostri limiti.

 

Il LAVORO DELL'ATTORE mira a rendere i corpi dei partecipanti sensibili e pronti ad azioni di senso. In ciascun incontro avviene un continuo riconoscimento delle attitudini personali: la gestualità, il modo di camminare, di utilizzare lo sguardo, di muoversi, di utilizzare la voce, sono puntualmente osservati e restituiti agli attori, con disabilità e non. E' un percorso di conoscenza di sé e delle proprie potenzialità attraverso l’utilizzo delle tecniche teatrali. Tale prassi è un allenamento al sapersi osservare durante le azioni, prerogativa specifica dell’essere umano: riconoscere un movimento automatico mi permette di controllarlo, conoscere un mio gesto espressivo mi permette di usarlo o modificarlo al bisogno.

 

Nel LABORATORIO INCLUSIVO il lavoro dell'attore è un alternarsi continuativo tra l’essere, il fare e la ricerca dei significati: un lavoro continuo sul senso delle proprie azioni in scena, su ciò che producono in chi osserva, sulle motivazioni insite nell’agire e nell’essere qui e ora dell’attore.

Durante il training si privilegia fortemente tale metodologia centrata sul significato e sull'intenzionalità del lavoro: ciascun esercizio viene descritto e analizzato, anche grazie al contributo di ogni partecipante che viene interpellato.

Ciascuno è invitato a descrivere come si percepisce nello svolgere un esercizio, a descrive la postura e quali parti del corpo sono coinvolte nel lavoro, a ricercare le motivazioni personali o collettive sull'utilità di tale pratica nell'ottica del lavoro scenico (“a cosa serve questo esercizio? questo movimento?”).
Tale modalità è molto importante perché restituisce il senso del fare (teatro) in modo continuativo e permette di cogliere nuovi significati e nuove letture anche grazie allo scambio dei diversi punti di vista dei partecipanti.

Pertanto il vedere, la ricerca di senso, la restituzione dei diversi sguardi hanno valore perché acquisiscono una logica di circolarità nella pratica dello scambio: diventano patrimonio del gruppo che prepara il proprio corpo e che elabora materiali scenici condivisi.

Nel lavoro di creazione, attraverso l’improvvisazione viene utilizzata la stessa metodologia: ciò che ciascuno propone nell’ambito di un tema scelto, viene osservato, scomposto, arricchito di senso, amplificato, valorizzato, delimitato, ridotto, anche grazie al lavoro sullo scambio dei punti di vista diversi. L'improvvisazione teatrale è vera e propria disciplina, che crea abiti e comportamenti, arricchendo la personalità di ciascuno, sia dal punto di vista sociale che artistico.

Dapprima uno o più attori improvvisano su un tema assegnato e il resto del gruppo funge da osservatori, da spettatori che al temine del lavoro sono chiamati a riportare ciò che hanno visto, le emozioni che hanno vissuto, i significati che, secondo il proprio sguardo, secondo la propria personale visione del mondo, sono stati attivati. 

Non vi è una visione migliore dell’altra e il lavoro di restituzione che fa il gruppo degli attori si attua attraverso la sospensione del giudizio: ogni lettura, ogni sguardo è utile per creare un bagaglio di punti di vista, di convergenze e divergenze che sono utili al lavoro di montaggio e di scelta dei materiali da tenere e da sviluppare.

Tale prassi sviluppa anche un modo diverso di percepire gli spettatori durante la rappresentazione: permette di immedesimarsi nel loro ruolo, e pertanto di attribuire a tali figure – che a volte possono incutere timore durante gli spettacoli – una dimensione più reale e meno idealizzata. Una visione più ravvicinata, meno distante, un modo per includerli dentro all’esperienza del laboratorio sin dalle prove. In tal modo durante lo spettacolo aperto al pubblico si può vivere la presenza degli spettatori non tanto come qualcosa di esterno ma come parte del teatro, e senza i quali esso stesso non potrebbe definirsi tale.

 

Il PERCORSO DEL LABORATORIO INCLUSIVO è condiviso, sempre aperto, mai dato per scontato, in continuo movimento, con una struttura portante che contiene i materiali emersi, ma sempre in cambiamento.
Ciascuno si abitua a stare in una dimensione per cui nulla è fissato se non nelle ultimissime fasi di montaggio: sino ad allora ogni azione scenica può essere rivista, riadattata, eliminata. Ciò è molto interessante in un ambito quale la disabilità: spesso le persone con disabilità sono abituate a vivere una quotidianità molto organizzata, con attività che si ripetono e che scandiscono lo scorrere del tempo, una quotidianità che è rassicurante e che permette di essere maggiormente compresa. In un laboratorio teatrale possono essere sperimentati - pur in una dimensione di forte ritualità che è di per sé contenitiva – dei cambiamenti di rotta, delle modifiche di programma: potremmo affermare che è una sorta di allenamento alla flessibilità, l’occasione per imparare a vivere con serenità i cambiamenti, a lasciare andare ciò che è superfluo, a tenere una sintesi narrativa.

In ciascuna fase del lavoro ognuno viene indirizzato e accompagnato nel lavoro narrativo e scenico. Le regole narrative e drammaturgiche, la considerazione del ritmo delle azioni sceniche sono il contenitore dentro al quale sviluppare un racconto, nel quale nutrire gli slanci emotivi, l’urgenza del dire e del fare, dell’esserci. I partecipanti hanno l’opportunità di sentire riconosciuto il proprio contributo nel lavoro scenico, di sviluppare maggiore sicurezza poiché riconoscono uno spazio che accoglie, valorizza, promuove.

Un contesto capace di riconoscere la persona nella sua globalità è un contesto che non si ferma al dato oggettivo, ma che sospinge verso altri itinerari, che nutre risonanze che rinnovano le proprie rappresentazioni. Tale metodologia, praticata nella continuità, ha permesso a diversi componenti del gruppo di costruire un proprio percorso di crescita, altamente visibile e riconoscibile a livello scenico.